E’ come per la bella di Torriglia, che tutti la vogliono e nessuno la piglia. O meglio, è l’esatto contrario: nessuno le vuole ma tutti le pigliano.
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1 Giugno 2013
di Arnaldo Ferrari Nasi
(Fonte: dati Isnart, 2013)
1 Giugno 2013
di Arnaldo Ferrari Nasi
E’ come per la bella di Torriglia, che tutti la vogliono e nessuno la piglia. O meglio, è l’esatto contrario: nessuno le vuole ma tutti le pigliano.
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(Fonte: dati Isnart, 2013)
4 Aprile 2013
di Arnaldo Ferrari Nasi
Internet ha rappresentato una rivoluzione nel turismo, al punto da influenzare e determinare le scelte strategiche ed il destino di molte imprese sul mercato.
Senza questo strumento, infatti, alcune tipologie di strutture turistiche come gli agriturismo ed i B&B, probabilmente non esisterebbero o, al limite, avrebbero avuto uno sviluppo ben diverso da quello a cui abbiamo assistito negli ultimi anni.
Ma siamo proprio sicuri che stiamo utilizzando le grandi potenzialità che offre internet nel migliore dei modi? E’ possibile usare questa vetrina in modo diverso?
Prima di partire per una vacanza, Internet è diventato sempre più percepito ed utilizzato come “occhio” sul territorio. Nel tempo si sono moltiplicati i siti con fotografie, immagini a 360 gradi e visite virtuali in alta definizione.
Ma analizzando nello specifico le tipologie di siti internet delle imprese turistiche, la realtà mostra una faccia diversa: pochissime aziende ancora oggi fanno vedere nella propria pagina web il territorio, le opportunità che offre, le delizie alimentari o i momenti di svago di cui godere.
Va ancora peggio quando si passa alla prenotazione on-line: tutti o quasi tutti hanno un contratto con una agenzia di viaggio online (Expedia per esempio) che permette alle imprese di usufruire di una vetrina unica e generalista.
Ma passando al sito della struttura, la situazione cambia radicalmente. Si può dire che, escludendo le grandi città come Roma, Milano o Firenze, per citarne alcune, la percentuale di coloro che offrono una prenotazione on-line rimane ancorata al 10%. Tutti invece spronano l’internauta a mandare una mail per prenotare specificando nome, cognome, indirizzo, motivo, e persino possibili desideri; ma questa non è prenotazione on-line. Insomma, se da un lato le Ota (agenzie di viaggio online) hanno dato un grande impulso al mercato on-line, dall’altra hanno contribuito ad annullare negli operatori la necessità di sviluppare una vera prenotazione on-line, come è invece in Paesi più sviluppati.
Passando poi al momento della fruizione del servizio, ossia quando si gode la scelta effettuata, la situazione ci catapulta indietro nel tempo. Se offrire il Wifi è un segno di civiltà e di ospitalità generato dalla voglia di rimanere connessi e non cadere nella trappola del roaming, la probabilità di averlo nella camera da letto e in sala ristorante in forma gratuita ci proietta nel Rinascimento. Se a questo si aggiunge la impossibilità di utilizzare internet per sapere cosa fare nelle vicinanze della struttura, dove spendere i momenti di relax sorseggiando un aperitivo o un digestivo, allora possiamo dire di essere ancora all’anno zero, o quasi, della rivoluzione digitale.
Ancora tutto da creare, invece, il rapporto tra cliente e struttura turistica dopo aver usufruito della prestazione. All’atto della registrazione, infatti, sono obbligatoriamente chiesti documenti e carta di credito, ma raramente la mail. Eppure c’è una regola molto semplice di mercato secondo la quale l’investimento per mantenere un cliente è molto meno impegnativo rispetto alla ricerca di un nuovo ospite. E ancora: le indagini ci ricordano insistentemente che la maggiore influenza nella scelta di una località è il consiglio di parenti ed amici (passaparola) e l’esserci già stato. Il resto dell’advertising nel turismo conta ben poco.
In conclusione: ci sono margini di miglioramento nell’utilizzo di Internet per creare valore aggiunto per l’impresa e per il viaggiatore? Probabilmente si, a patto di sviluppare un sistema stabile ed efficace per le prenotazioni online e trasformando il sito della struttura turistica in una vera e propria porta del territorio circostante. E ancora: offrendo il Wifi gratuito e consolidando, nel tempo, il contatto con il cliente offrendo occasioni speciali per ritornare.
(Fonte: dati Isnart, 2013)
4 Marzo 2013
di Arnaldo Ferrari Nasi
Ma perché, se non mi piace l’agnello, a Pasqua “mi tocca” mangiarlo? E poi l’uovo, devo comprarlo solo per la sorpresa dei bambini?
Molte volte si sentono o ci si fanno queste domande. In realtà gli ingredienti principe dei piatti della Pasqua cristiana hanno un significato ben preciso. Quali sono innanzitutto? Sono quattro: l’agnello, la colomba, il pesce e l’uovo.
L’agnello è un simbolo molto antico. Nell’Antico Testamento si ricorda che proprio con il sacrificio dell’agnello si celebra la fuga dall’Egitto del Popolo d’Israele, appunto la Pasqua ebraica. La Pasqua cristiana ha raccolto l’eredità di quella ebraica: Cristo è stato ucciso proprio il giorno precedente a quella festività, quando l’agnello veniva appunto immolato. Esso rappresenta dunque il sacrificio del Redentore.
La colomba è il simbolo delle fine del diluvio universale, il simbolo della rinnovata alleanza tra Uomo e Dio. Essa porta a Noè un rametto d’olivo nell’Arca.
Al battesimo di Gesù nel fiume Giordano una colomba scende sul suo capo. E’ lo Spirito Santo che viene rappresentato sotto forma di colomba, come nell’Annunciazione.
Oggi, nel suo senso più ampio, la colomba contraddistigue tutte le azioni divine nell'umanità.
Il pesce, “ichthýs” in greco antico, che è anche l’acronimo delle parole “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”. Un altro antichissimo simbolo cristiano giunto fino a noi. Sembra che venisse adoperato come segno di riconoscimento: quando un cristiano incontrava uno sconosciuto di cui aveva bisogno di conoscere la lealtà, tracciava nella sabbia uno degli archi che compongono (Gesù disse a Simone: “'sarai pescatore di uomini”). Se l'altro completava il segno, i due individui si riconoscevano come seguaci di Cristo e sapevano di potersi fidare l'uno dell'altro.
Infine l’uovo. "Omne vivum ex ovo", in latino, cioè "tutti i viventi nascono da un uovo".
Con l’avvento del Cristianesimo, molti riti pagani vennero recepiti dalla nuova religione. La stessa festività pasquale, d’altro canto, si festeggia proprio nei giorni in cui si compie il passaggio dalla stagione del riposo dei campi a quella della nuova semina e quindi della nuova vita per la natura.
In occasione della Pasqua cristiana, dunque, è presente l’uovo, quale dono augurale, che ancora una volta è simbolo di rinascita, ma questa volta non della natura, bensì dell’Uomo stesso, della resurrezione di Cristo.
Forse non sempre tutti pensiamo all’importanza dei simboli nei cibi che mangiamo. Invece sono importanti, soprattutto in occasione delle festività.
Di questi quattro non sapremmo dire se qualcuno vale di più di altri.
Ecco i risultati.
Tavola 1.
Qual è, secondo lei il simbolo più importante della Pasqua in cucina?
(Fonte: dati Isnart, 2013)
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